Apprendimento linguistico
L'efficacia propedeutica dell’Esperanto
Molti studi dal 1920 hanno sempre confermato che l’Esperanto migliora la predisposizione allo studio dello studente che sente di poter raggiungere rapidamente lo scopo, con conseguente miglioramento nell'apprendimento di ulteriori lingue. Tale effetto propedeutico è ben conosciuto in educazione e viene utilizzato regolarmente in varie discipline, dalla musica alla matematica.
Il consueto modello sperimentale si applica a due gruppi paralleli di bambini che studiano in genere per due o tre anni. Un gruppo impara una lingua straniera - per esempio, il francese o il tedesco - durante tutto il periodo, l'altro studia l’Esperanto per un anno (o a volte un po’ più a lungo) e poi la lingua straniera per il resto del tempo. Al termine del periodo sperimentale, entrambi i gruppi fanno una prova standartizzata nella lingua straniera. Invariabilmente, il gruppo che ha studiato l’Esperanto prima della lingua straniera ottiene un successo ed un miglioramento nei risultati assai significativi rispetto al gruppo di controllo.
Ad esempio, uno studio in Germania nel 1970 finalizzato a valutare l’efficacia propedeutica dell’ Esperanto in bambini tedeschi che imparavano l'inglese, ha trovato un aumento del 30% nei test standardizzati rispetto al progresso dei bambini che non avevano prima studiato l’Esperanto; in un corso di 5 anni ciò rappresenta naturalmente un guadagno di un anno e mezzo.
Un esperimento simile in Italia, a Roma, nell'anno scolastico 1998-1999 aveva misurato lo sviluppo della consapevolezza della propria lingua in bambini che avevano studiato l’Esperanto un anno, rispetto a bambini che non l’avevano studiato. I bambini avevano circa 12 anni all'inizio dell'anno scolastico. La misurazione è stata effettuata con un test standardizzato per misurare la consavepolezza linguistica in italiano, TAM2. Il risultato ha dimostrato un aumento molto significativo delle capacità linguistiche in bambini che avevavo imparato l’Esperanto.
Consapevolezza della propria lingua
I bambini bilingui sono più flessibili nella comprensione rispetto ai loro coetanei monolingui. Questa idea è stata proposta per la prima volta da Peal/Lambert (1962), e la letteratura degli ultimi anni l’ha sempre confermata. La flessibilità nella comprensione può essere vista in varie forme di pensiero, dalla percezione dello spazio attraverso il ragionamento logico-matematico a vari aspetti della elaborazione del linguaggio, in particolare di quello legato all'azione della metalingua. Per una sintesi della letteratura, si veda Reynolds 1991. (Si veda anche Baker / Prys-Jones, 1998, e Pinto 2002.)
Bambini monolingui e bilingui differiscono così a seconda della consapevolezza della loro lingua: la loro conoscenza di certi concetti – tipo di parole, ordine delle parole, desinenze, inflessioni, accordo e numero - e di come questi variano nella lingua madre e nelle altre lingue. Una buona consapevolezza della lingua facilita notevolmente l'apprendimento delle lingue. Appunto per questo motivo, bambini monolingui inglesi ne guadagnerebbo, se studiassero una seconda lingua.
Una più forte consapevolezza della lingua legata al bilinguismo può essere utilizzata per rendere più competenti sulla stessa lingua inglese, e su qualsiasi altra lingua che sarà studiata in seguito. Come aveva osservato Byalistok (1988), la consapevolezza metalinguistica può contribuire ad apprendere la lettura anticipatamente e può riguardare probabilmente un apprendimento di successo nel resto del programma da apprendere. Diversi studi hanno dimostrato proprio un tale effetto sulla competenza nella lingua materna di bambini che imparano l'Esperanto, anche se solo un'ora alla settimana per un periodo di un anno (Pinto/Corsetti 2001).
La consapevolezza della lingua è un segno importante per l’acquisizione di una (successiva) terza lingua (Jessner 1999), nel qual caso i rapporti tra le due lingue già conosciute servono da ponte verso la terza lingua. Ecco una citazione diretta da Safant Jordà (2005): "Alla luce di recenti ricerche, possiamo supporre che gli studenti bilingui impareranno un’ulteriore lingua più rapidamente e più efficacemente". Studi sulla acquisizione di una terza lingua sono attualmente in aumento, soprattutto in Europa, dove alla lingua regionale dell’alunno viene spesso aggiunta la lingua nazionale, e poi una lingua per una comunicazione più ampia, come l'inglese (Broeder/Extra 1999).
Ma si trovano situazioni trilingui anche in altri continenti (Rubagumya 1994, Tickoo, 1996, Dutcher 1998). Tali studi dimostrano che sapere una seconda lingua aiuta sempre ad imparare una terza.
La natura dell’Esperanto
L’Esperanto è una lingua relativamente molto facile. Il suo vocabolario è preso in prestito da lingue nazionali, ma il suo particolare carattere grammaticale lo pone in una posizione centrale tra le lingue flessive, agglutinanti ed isolanti. In realtà nell’Esperanto vi sono elementi di tutti questi tipi di lingue (Gledhill 1998).
Il lessico è derivato principalmente dalle lingue del gruppo neolatino e neogermanico, ma non indifferente è anche il contributo di altri gruppi.
La grammatica della lingua, tuttavia, è unica. Oltre ai morfemi lessicali vi è un insieme di morfemi grammaticali che specificano il ruolo di ogni parola in una frase. Wells (1989) riassunse il carattere dell’Esperanto come a) estremamente agglutinante, b) un po’ sintetico, c) che ha morfemi immutabili, e ĉ) che ha un solo paradigma di declinazione, e che ha una sola coniugazione.
Molti esperimenti sono stati fatti per misurare, quanto fosse facile imparare l’Esperanto, a cominciare dal lavoro pionieristico di Thorndike (1933). Senza eccezione, i risultati sono stati positivi. L'unica domanda ora da esplorare è quella sulla facilità di apprendimento dell’Esperanto in relazione alle diverse lingue materne dei singoli studenti (Nagata/Corsetti 2005).
La struttura regolare e la trasparenza grammaticale dell’Esperanto fa sì che lo studente rifletta su come funzionano le lingue. Al contrario, la generale mancanza di segnali di ruolo nelle parole della frase inglese - una mancanza, che gli inglesi compensano con un ordine fisso delle parole – fa sì che il parlante monolingue della lingua inglese non riesca ad immaginare come funzionano altre lingue, con sistemi morfologici più ricchi.
Il fatto che apprendere l’Esperanto è facile, permette che i bambini lo usino davvero molto presto; , questo dà loro una sensazione di successo, che a sua volta li incoraggia ad imparare un'altra lingua. Tali osservazioni dell’effetto propedeŭtico si trova in tutta la letteratura sull'insegnamento della Esperanto.
La distanza linguistica
Un altro fattore importante per l'acquisizione di una terza lingua è la "distanza linguistica". È probabile che uno studente padroneggerà più facilmente una terza lingua, se essa è tipologicamente vicina alla seconda.
È possibile definire una distanza linguistica solo relativamente: alcune coppie di lingue sono più o meno vicine di altre. Bisogna analizzarla anche secondo i diversi livelli linguistici: quello fonologico, lessicale, sintattico e pragmatico. Ad esempio, la lingua inglese è tipologicamente una lingua neogermanica, ma eventi storici hanno avuto come risultato un gran numero di parole prese in prestito dal latino e dalle lingue neolatine.
Similmente, l’Esperanto ha una struttura linguistica che contiene elementi di tutti i gruppi linguistici (Wells 1989) e una vocabolario preso per la maggior parte dai gruppi neolatini e neogermanici.
Per un bambino di lingua inglese, quindi, l'effetto propedeutico derivato dall’Esperanto è valido (almeno - a livello morfologico) per tutte le lingue indoeuropee più conservatrici dell’inglese - vale a dire per tutte quel tipo di lingue tranne, forse, il persiano. L’ esperanto può aiutare anche l'apprendimento di lingue più lontane come le lingue slave, o l’urdu o l’indiano. D'altra parte, a livello lessicale, un aiuto è più evidente nell'apprendimento dalle lingue neolatine alle lingue neogermaniche.
Per gli studi degli effetti propedeutici dell’Esperanto sull'apprendimento di altre lingue da parte di bambini di lingua inglese, si veda ad esempio Halloran (1959).
Studi pratici
Il primo studio pratico documentato ha avuto luogo in Girls’ County School, Bishop Auckland, Regno Unito, nel 1918-21, sorvegliato da revisoroj scolastici ufficiali. Dopo di che, importanti studi inclusero:
1920 Scuola di Green Lane, Eccles, Regno Unito
1922 Sintesi ufficiale della Società delle Nazioni, Ginevra, Svizzera
1922-1924 Scuola elementare del Bishop, Auckland, Nuova Zelanda 1924 Il Collegio Wellesley, Ohio, Stati Uniti
1925-1931 L’Università Columbia, New York, USA (prof. E. Thorndike)
1934-1935 Liceo pubblico, New York, Stati Uniti 1947-1951 County Grammar School, Sheffield, Regno Unito (University of Sheffield)
1948-1961 Egerton Park School, Manchester, Regno Unito
1950-1963 Estate, Finlandia (Ministero della Pubblica Istruzione)
1962-1963 Università di Lorand, Budapest, Ungheria (prof. I. Szerdahelyi)
1971-74 22 classi di Italia, Jugoslavia, Ungheria, Bulgaria
1972-1973 Scuola Elementare Dante, Forlì, Italia (Ministero della Pubblica Istruzione)
1975-77 300 studenti provenienti da Belgio, Francia, Germania, Grecia, Paesi Bassi
1977-1983 Università di Paderborn, Germania (prof. H. Frank)
1983-1988 Scuola Media, San Salvatore di Cogorno, Italia
1993 Rapporto Ufficiale: Ministero della Pubblica Istruzione, Italia
1994-1997 Monash University, Victoria, Australia (prof. A. Bishop)
1998-1999 Scuola media Aristide Leonori ed altri, Roman.
Da tutti questi studi, forse i più completi sono stati quelli del professor Helmar Frank dell'Università di Paderborn, Germania, negli anni 1970 e 1980. Questi studi approfonditi hanno fatto nascere il concetto di consapevolezza linguistica.
E’ stato osservato che la consapevolezza linguistica si sviluppa facilmente per mezzo di una lingua relativamente semplice, regolare, fonetica e riconoscibile, come l’Esperanto. Il professor Alan Bishop della Facoltà di Scienze dell'Educazione, Università di Monash, Australia, ha riassunto i risultati delle ricerche nella relazione finale del suo studio pratico (2000):
"Chiaramente risultava dagli esperimenti - che l’esperanto aveva aiutato gli studenti ad imparare bene e celermente la loro seconda - lingua".
Prof. Renato Corsetti, Università di Roma La Sapienza, Dicembre 2005
Bibliografia
Baker, C. / Prys Jones, S., 1998: Encyclopaedia of Bilingualism and Bilingual Education. Clevedon: Multilingual Matters.
Broeder, P. / Extra, G., 1999: Language, Ethnicity and Education. Clevedon: Multilingual Matters.
Byalistok, E., 1988: ‘Levels of Bilingualism and Levels of Linguistic Awareness’, en Developmental Psychology, 34(4), 560–567.
Dutcher, N., 1998: ‘Eritrea: Developing a programme of multilingual education’, en J. Cenoz / F. Genesee (red.), Beyond Bilingualism: Multilingualism and Multilingual Education. Clevedon: Multilingual Matters, 259–265.
Gledhill, C., 1998: The Grammar of Esperanto. München: Limcom Europa.
Halloran, J.H., 1952: ‘A Four-Year Experiment in Esperanto as an Introduction to French’, en British Journal of Educational Psychology, 22 (3), 200–204.
Jessner, U., 1999: ‘Multilinguistic Awareness en Multilinguals: Cognitive Aspects of Third Language Learning’, en Language Awareness, 8, 201–209.
Nagata, H. / Corsetti, R., 2005: ‘Influoj de gepatra lingvo sur la lernado de Esperanto: psikolingvistika esploro’, en Esperantologio/Esperanto Studies, 3, 5–39.
Peal, E. / Lambert, W., 1962: ‘The relationship of bilingualism to intelligence’, en Psychological Monographs, 76/27, 1–23.
Pinto, M. A. / Corsetti, R., 2001: ‘Ricadute metalinguistiche dell’insegnamento dell’esperanto sulla lingua materna dell’alunno: Un’esperienza nella scuola media italiana’, en Language Problems & Language Planning, 25/1, 73–90.
Pinto, M. A., 2002: ‘Bilinguismo e sviluppo metalinguistico’, en G. Di Stefano, R. Vianello (a cura di), Psicologia dello sviluppo e problemi educativi: Studi in onore di Guido Petter. Firenze: Giunti, 280–295.
Reynolds, A.G., 1991: ‘The cognitive consequences of bilingualism’, en A.G.Reynolds (red.), Bilingualism, Multiculturalism and Second Language Learning. Hillsdale, NJ: Erlbaum, 145–182.
Rubagumya, C.M., 1994: Language in Education in Africa. Clevedon: Multilingual Matters.
Safont Jordà, M.P., 2005: Third Language Learners – Pragmatic Production and Awareness. Clevedon: Multilingual Matters.
Thorndike, E.L., 1933: Language Learning. New York: Division of Psychology, Teachers’ College, Columbia University.
Tickoo, M.L., 1996: ‘English in Asian bilingual education: From hatred to harmony’, en Journal of Multilingual and Multicultural Development, 17, 225–240.
Wells, J., 1989: Lingvistikaj aspektoj de Esperanto. Rotterdam: UEA.
Molti studi dal 1920 hanno sempre confermato che l’Esperanto migliora la predisposizione allo studio dello studente che sente di poter raggiungere rapidamente lo scopo, con conseguente miglioramento nell'apprendimento di ulteriori lingue. Tale effetto propedeutico è ben conosciuto in educazione e viene utilizzato regolarmente in varie discipline, dalla musica alla matematica.
Il consueto modello sperimentale si applica a due gruppi paralleli di bambini che studiano in genere per due o tre anni. Un gruppo impara una lingua straniera - per esempio, il francese o il tedesco - durante tutto il periodo, l'altro studia l’Esperanto per un anno (o a volte un po’ più a lungo) e poi la lingua straniera per il resto del tempo. Al termine del periodo sperimentale, entrambi i gruppi fanno una prova standartizzata nella lingua straniera. Invariabilmente, il gruppo che ha studiato l’Esperanto prima della lingua straniera ottiene un successo ed un miglioramento nei risultati assai significativi rispetto al gruppo di controllo.
Ad esempio, uno studio in Germania nel 1970 finalizzato a valutare l’efficacia propedeutica dell’ Esperanto in bambini tedeschi che imparavano l'inglese, ha trovato un aumento del 30% nei test standardizzati rispetto al progresso dei bambini che non avevano prima studiato l’Esperanto; in un corso di 5 anni ciò rappresenta naturalmente un guadagno di un anno e mezzo.
Un esperimento simile in Italia, a Roma, nell'anno scolastico 1998-1999 aveva misurato lo sviluppo della consapevolezza della propria lingua in bambini che avevano studiato l’Esperanto un anno, rispetto a bambini che non l’avevano studiato. I bambini avevano circa 12 anni all'inizio dell'anno scolastico. La misurazione è stata effettuata con un test standardizzato per misurare la consavepolezza linguistica in italiano, TAM2. Il risultato ha dimostrato un aumento molto significativo delle capacità linguistiche in bambini che avevavo imparato l’Esperanto.
Consapevolezza della propria lingua
I bambini bilingui sono più flessibili nella comprensione rispetto ai loro coetanei monolingui. Questa idea è stata proposta per la prima volta da Peal/Lambert (1962), e la letteratura degli ultimi anni l’ha sempre confermata. La flessibilità nella comprensione può essere vista in varie forme di pensiero, dalla percezione dello spazio attraverso il ragionamento logico-matematico a vari aspetti della elaborazione del linguaggio, in particolare di quello legato all'azione della metalingua. Per una sintesi della letteratura, si veda Reynolds 1991. (Si veda anche Baker / Prys-Jones, 1998, e Pinto 2002.)
Bambini monolingui e bilingui differiscono così a seconda della consapevolezza della loro lingua: la loro conoscenza di certi concetti – tipo di parole, ordine delle parole, desinenze, inflessioni, accordo e numero - e di come questi variano nella lingua madre e nelle altre lingue. Una buona consapevolezza della lingua facilita notevolmente l'apprendimento delle lingue. Appunto per questo motivo, bambini monolingui inglesi ne guadagnerebbo, se studiassero una seconda lingua.
Una più forte consapevolezza della lingua legata al bilinguismo può essere utilizzata per rendere più competenti sulla stessa lingua inglese, e su qualsiasi altra lingua che sarà studiata in seguito. Come aveva osservato Byalistok (1988), la consapevolezza metalinguistica può contribuire ad apprendere la lettura anticipatamente e può riguardare probabilmente un apprendimento di successo nel resto del programma da apprendere. Diversi studi hanno dimostrato proprio un tale effetto sulla competenza nella lingua materna di bambini che imparano l'Esperanto, anche se solo un'ora alla settimana per un periodo di un anno (Pinto/Corsetti 2001).
La consapevolezza della lingua è un segno importante per l’acquisizione di una (successiva) terza lingua (Jessner 1999), nel qual caso i rapporti tra le due lingue già conosciute servono da ponte verso la terza lingua. Ecco una citazione diretta da Safant Jordà (2005): "Alla luce di recenti ricerche, possiamo supporre che gli studenti bilingui impareranno un’ulteriore lingua più rapidamente e più efficacemente". Studi sulla acquisizione di una terza lingua sono attualmente in aumento, soprattutto in Europa, dove alla lingua regionale dell’alunno viene spesso aggiunta la lingua nazionale, e poi una lingua per una comunicazione più ampia, come l'inglese (Broeder/Extra 1999).
Ma si trovano situazioni trilingui anche in altri continenti (Rubagumya 1994, Tickoo, 1996, Dutcher 1998). Tali studi dimostrano che sapere una seconda lingua aiuta sempre ad imparare una terza.
La natura dell’Esperanto
L’Esperanto è una lingua relativamente molto facile. Il suo vocabolario è preso in prestito da lingue nazionali, ma il suo particolare carattere grammaticale lo pone in una posizione centrale tra le lingue flessive, agglutinanti ed isolanti. In realtà nell’Esperanto vi sono elementi di tutti questi tipi di lingue (Gledhill 1998).
Il lessico è derivato principalmente dalle lingue del gruppo neolatino e neogermanico, ma non indifferente è anche il contributo di altri gruppi.
La grammatica della lingua, tuttavia, è unica. Oltre ai morfemi lessicali vi è un insieme di morfemi grammaticali che specificano il ruolo di ogni parola in una frase. Wells (1989) riassunse il carattere dell’Esperanto come a) estremamente agglutinante, b) un po’ sintetico, c) che ha morfemi immutabili, e ĉ) che ha un solo paradigma di declinazione, e che ha una sola coniugazione.
Molti esperimenti sono stati fatti per misurare, quanto fosse facile imparare l’Esperanto, a cominciare dal lavoro pionieristico di Thorndike (1933). Senza eccezione, i risultati sono stati positivi. L'unica domanda ora da esplorare è quella sulla facilità di apprendimento dell’Esperanto in relazione alle diverse lingue materne dei singoli studenti (Nagata/Corsetti 2005).
La struttura regolare e la trasparenza grammaticale dell’Esperanto fa sì che lo studente rifletta su come funzionano le lingue. Al contrario, la generale mancanza di segnali di ruolo nelle parole della frase inglese - una mancanza, che gli inglesi compensano con un ordine fisso delle parole – fa sì che il parlante monolingue della lingua inglese non riesca ad immaginare come funzionano altre lingue, con sistemi morfologici più ricchi.
Il fatto che apprendere l’Esperanto è facile, permette che i bambini lo usino davvero molto presto; , questo dà loro una sensazione di successo, che a sua volta li incoraggia ad imparare un'altra lingua. Tali osservazioni dell’effetto propedeŭtico si trova in tutta la letteratura sull'insegnamento della Esperanto.
La distanza linguistica
Un altro fattore importante per l'acquisizione di una terza lingua è la "distanza linguistica". È probabile che uno studente padroneggerà più facilmente una terza lingua, se essa è tipologicamente vicina alla seconda.
È possibile definire una distanza linguistica solo relativamente: alcune coppie di lingue sono più o meno vicine di altre. Bisogna analizzarla anche secondo i diversi livelli linguistici: quello fonologico, lessicale, sintattico e pragmatico. Ad esempio, la lingua inglese è tipologicamente una lingua neogermanica, ma eventi storici hanno avuto come risultato un gran numero di parole prese in prestito dal latino e dalle lingue neolatine.
Similmente, l’Esperanto ha una struttura linguistica che contiene elementi di tutti i gruppi linguistici (Wells 1989) e una vocabolario preso per la maggior parte dai gruppi neolatini e neogermanici.
Per un bambino di lingua inglese, quindi, l'effetto propedeutico derivato dall’Esperanto è valido (almeno - a livello morfologico) per tutte le lingue indoeuropee più conservatrici dell’inglese - vale a dire per tutte quel tipo di lingue tranne, forse, il persiano. L’ esperanto può aiutare anche l'apprendimento di lingue più lontane come le lingue slave, o l’urdu o l’indiano. D'altra parte, a livello lessicale, un aiuto è più evidente nell'apprendimento dalle lingue neolatine alle lingue neogermaniche.
Per gli studi degli effetti propedeutici dell’Esperanto sull'apprendimento di altre lingue da parte di bambini di lingua inglese, si veda ad esempio Halloran (1959).
Studi pratici
Il primo studio pratico documentato ha avuto luogo in Girls’ County School, Bishop Auckland, Regno Unito, nel 1918-21, sorvegliato da revisoroj scolastici ufficiali. Dopo di che, importanti studi inclusero:
1920 Scuola di Green Lane, Eccles, Regno Unito
1922 Sintesi ufficiale della Società delle Nazioni, Ginevra, Svizzera
1922-1924 Scuola elementare del Bishop, Auckland, Nuova Zelanda 1924 Il Collegio Wellesley, Ohio, Stati Uniti
1925-1931 L’Università Columbia, New York, USA (prof. E. Thorndike)
1934-1935 Liceo pubblico, New York, Stati Uniti 1947-1951 County Grammar School, Sheffield, Regno Unito (University of Sheffield)
1948-1961 Egerton Park School, Manchester, Regno Unito
1950-1963 Estate, Finlandia (Ministero della Pubblica Istruzione)
1962-1963 Università di Lorand, Budapest, Ungheria (prof. I. Szerdahelyi)
1971-74 22 classi di Italia, Jugoslavia, Ungheria, Bulgaria
1972-1973 Scuola Elementare Dante, Forlì, Italia (Ministero della Pubblica Istruzione)
1975-77 300 studenti provenienti da Belgio, Francia, Germania, Grecia, Paesi Bassi
1977-1983 Università di Paderborn, Germania (prof. H. Frank)
1983-1988 Scuola Media, San Salvatore di Cogorno, Italia
1993 Rapporto Ufficiale: Ministero della Pubblica Istruzione, Italia
1994-1997 Monash University, Victoria, Australia (prof. A. Bishop)
1998-1999 Scuola media Aristide Leonori ed altri, Roman.
Da tutti questi studi, forse i più completi sono stati quelli del professor Helmar Frank dell'Università di Paderborn, Germania, negli anni 1970 e 1980. Questi studi approfonditi hanno fatto nascere il concetto di consapevolezza linguistica.
E’ stato osservato che la consapevolezza linguistica si sviluppa facilmente per mezzo di una lingua relativamente semplice, regolare, fonetica e riconoscibile, come l’Esperanto. Il professor Alan Bishop della Facoltà di Scienze dell'Educazione, Università di Monash, Australia, ha riassunto i risultati delle ricerche nella relazione finale del suo studio pratico (2000):
"Chiaramente risultava dagli esperimenti - che l’esperanto aveva aiutato gli studenti ad imparare bene e celermente la loro seconda - lingua".
Prof. Renato Corsetti, Università di Roma La Sapienza, Dicembre 2005
Bibliografia
Baker, C. / Prys Jones, S., 1998: Encyclopaedia of Bilingualism and Bilingual Education. Clevedon: Multilingual Matters.
Broeder, P. / Extra, G., 1999: Language, Ethnicity and Education. Clevedon: Multilingual Matters.
Byalistok, E., 1988: ‘Levels of Bilingualism and Levels of Linguistic Awareness’, en Developmental Psychology, 34(4), 560–567.
Dutcher, N., 1998: ‘Eritrea: Developing a programme of multilingual education’, en J. Cenoz / F. Genesee (red.), Beyond Bilingualism: Multilingualism and Multilingual Education. Clevedon: Multilingual Matters, 259–265.
Gledhill, C., 1998: The Grammar of Esperanto. München: Limcom Europa.
Halloran, J.H., 1952: ‘A Four-Year Experiment in Esperanto as an Introduction to French’, en British Journal of Educational Psychology, 22 (3), 200–204.
Jessner, U., 1999: ‘Multilinguistic Awareness en Multilinguals: Cognitive Aspects of Third Language Learning’, en Language Awareness, 8, 201–209.
Nagata, H. / Corsetti, R., 2005: ‘Influoj de gepatra lingvo sur la lernado de Esperanto: psikolingvistika esploro’, en Esperantologio/Esperanto Studies, 3, 5–39.
Peal, E. / Lambert, W., 1962: ‘The relationship of bilingualism to intelligence’, en Psychological Monographs, 76/27, 1–23.
Pinto, M. A. / Corsetti, R., 2001: ‘Ricadute metalinguistiche dell’insegnamento dell’esperanto sulla lingua materna dell’alunno: Un’esperienza nella scuola media italiana’, en Language Problems & Language Planning, 25/1, 73–90.
Pinto, M. A., 2002: ‘Bilinguismo e sviluppo metalinguistico’, en G. Di Stefano, R. Vianello (a cura di), Psicologia dello sviluppo e problemi educativi: Studi in onore di Guido Petter. Firenze: Giunti, 280–295.
Reynolds, A.G., 1991: ‘The cognitive consequences of bilingualism’, en A.G.Reynolds (red.), Bilingualism, Multiculturalism and Second Language Learning. Hillsdale, NJ: Erlbaum, 145–182.
Rubagumya, C.M., 1994: Language in Education in Africa. Clevedon: Multilingual Matters.
Safont Jordà, M.P., 2005: Third Language Learners – Pragmatic Production and Awareness. Clevedon: Multilingual Matters.
Thorndike, E.L., 1933: Language Learning. New York: Division of Psychology, Teachers’ College, Columbia University.
Tickoo, M.L., 1996: ‘English in Asian bilingual education: From hatred to harmony’, en Journal of Multilingual and Multicultural Development, 17, 225–240.
Wells, J., 1989: Lingvistikaj aspektoj de Esperanto. Rotterdam: UEA.